ITALIAN FILM FESTIVAL. A fronte di un ampio interesse per il tema, espresso soprattutto dagli studi anglosassoni, è evidente come il dibattito sui festival italiani stia muovendo i suoi primi passi e si concentri su specifici studi di caso. La ricerca intende offrire uno sguardo ampio e soprattutto legato all’attualità, attraverso una prospettiva complessa, secondo un approccio storico ed economico: i festival sono analizzati considerandone l’evoluzione, gli elementi caratterizzanti, le tipologie, le strategie manageriali ricorrenti, le ricadute sul territorio. L'intento è quello di porre attenzione al contesto nazionale, ma non svincolandolo da uno sguardo globale. Analizzare i film festival permette, inoltre, di attraversare questioni salienti entro lo scenario cinematografico e audiovisivo contemporaneo, tra cui: il ruolo delle politiche culturali festivaliere a sostegno di iniziative produttive di autori provenienti da Paesi economicamente e/o culturalmente svantaggiati; il contributo dei film festival nella creazione di un canone cinematografico, analizzato sia in senso diacronico che sincronico; il ruolo, il peso e la visibilità delle professioniste donne, coinvolte sia nella realizzazione delle opere che partecipano a un film festival, sia nell'organizzazione della manifestazione; il ruolo dei film festival nei processi distributivi e la relazione con le piattaforme digitali; il contributo dei film festival ai processi di film literacy e di audience development. Queste e altre questioni cruciali sono analizzati tramite fonti primarie (archivi pubblici e privati, questionari, interviste) e secondarie. La ricerca lavora in sinergia con il Gruppo dei Film Festival Studies sorto all'interno della Consulta Universitaria Cinema nel 2022 e di cui la sottoscritta è uno dei membri. La ricerca ha prodotto una monografia, diversi paper e la partecipazione a convegni nazionali e internazionali.

Il CINEMA MISSIONARIO. Per secoli i missionari si sono serviti delle immagini – fisse e in movimento, come quelle della lanterna magica – per convertire le popolazioni indigene, ma anche per documentare la propria attività in patria e ottenere così sostegno morale ed economico. A partire dal ‘900 i religiosi iniziano a utilizzare il cinema, con film realizzati e/o prodotti da loro: dai primi di cui abbiamo notizia certa – negli anni Venti - la produzione aumenta progressivamente, andando a costituire un corpus molto ampio, di centinaia di titoli, molti dei quali forse smarriti per sempre, e con caratteristiche eterogenee in termini di temi, linguaggi, stile. Il gruppo più nutrito di opere è formato da documentari che raccontano l’attività dei missionari all’estero, descrivono le terre di missione (non senza un certo gusto per l’esotismo) o denunciano le difficili condizioni di vita di comunità vessate dalla povertà e dalle malattie. Non mancano, tuttavia, i film di finzione, storie edificanti che narrano di vocazioni di cui il missionario è il tramite più che il protagonista: tra questi, “Fiamme” (1929) dei Saveriani, un western girato sugli Appennini parmensi, o “Okiba non vendermi” (1953), realizzato dai Comboniani in Sudan con attori indigeni e una trama che ricorda Romeo e Giulietta di Shakespeare. La ricerca, che ha già prodotto 2 monografie, saggi in volume e rivista e interventi in convegni nazionali e internazionali, intende gettare luce su una produzione cinematografica ancora oggi poco conosciuta e che permette di osservare al periodo coloniale e post-coloniale in maniera insolita.